E
concludiamo il report sulla New York
Fashion Week con gli approfondimenti su Proenza Schouler e Marc
Jacobs.
Poi un accenno a 3.1 Philip Lim.
Per
il resto un po’ di delusione e di affanno perché è già London Fashion Week.
PROENZA SCHOULER
È
vero, ho un debole per il duo Hernandez-McCollough,
ma quella di Proenza Schouler è stata forse la migliore sfilata
della New York Fashion Week.
Sarà
per le suggestioni epiche impresse dalla soundtrack del Maestro Giorgio Moroder,
sarà per lo splendore della luce naturale, ma l’ingresso delle modelle su enormi
coturni in lotta con le leggi fisiche lascia senza fiato. Davanti agli occhi una
silhouette allungatissima, caratterizzata da stratificazioni di soprabiti,
top con chiusure metalliche e ampi pantaloni alla
caviglia.
La
sensazione è a metà tra un marinaio alla Ammutinati del Bounty e un samurai del futuro.
Anche
se, al di là della mia immaginazione, l’ispirazione proviene dall’Arte Povera,
dal design West Coast anni Cinquanta e da quello brasiliano di Sergio
Rodrigues, nonché da artisti come Robert Ryman e Piero Manzoni.
Personaggi
e stili eterogenei, tutti accomunati però dalla preferenza per matericità e
consistenza, qui raggiunte con profusione di legno, metallo, suede o con
intrecci di fili di seta alla maniera dei tappeti marocchini.
Notevoli i capi con baschine geometriche e gli abiti in
lurex.
Ma
i look del cuore irradiano bagliori ramati e argentei da corazze e pantaloni
plissé.
Bellissime
le collane scultura.
MARC JACOBS
In
uno scenario postapocalittico sfila una collezione bizzarra, onirica,
decisamente cupa.
Altro
che leggiadria e fiori in primavera. I fiori da Marc Jacobs ci sono ma somigliano alla stampa disegnata da Raoul
Dufy per il leggendario soprabito di Paul Poiret. Bellissimi, oscuri, hanno un
aspetto che è una via di mezzo tra una vecchia tappezzeria e le fantasie
hawaiane da surfisti.
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Paul Poiret - Soprabito La Perse con stampa disegnata da Raoul Dufy - 1911 - Pinterest |
D’altra
parte, nonostante l’incredibile serie d’ispirazioni - da Gotham City al
festival Burning Man, a White Snow di Paul McCarthy -, l’idea
era di trasportare sulla passerella lo stile di quelle ragazze che nella
quotidianità vestono con abiti di oltre un secolo fa abbinati a Birkenstock e
scarpe da ginnastica.
Ragazze - difficili da trovare dalle nostre parti - che
hanno la loro massima rappresentante nella musa di Marc: la modella Jamie Bochert.
Certo
per indossare con naturalezza una mise da vedova Vittoriana con sandali
rasoterra di gomma o con scarpette da surfista ci vuole una considerevole dose
di consapevolezza e originalità e magari anche un fisico alla Jamie.
La
collezione è tutto un susseguirsi di giaietto, colori autunnali e pesanti
passamanerie su giacchini da neoussaro con maniche bombate e bermuda
sportivi rivisitati.
Belli
i completi in felpa a rilievo e gli abiti lunghi con pattern bicolore.
3.1 PHILIP LIM
E finiamo con un accenno a 3.1 Philip Lim. Il
desiderio di un ecosistema intatto è alla base della collezione. La natura selvaggia invade
le caratteristiche forme nitide e sportive, che si arricchiscono di stampe
effetto minerale e di colori terrosi, metallici e marini.
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