Chillwave: suoni "sporchi" e atmosfere sognanti



Una delle passioni principali di critici musicali e di recensori di dischi – si sa – consiste nel catalogare ciò che ascoltano in base a generi e influenze; una delle loro speranze principali consiste invece nell’individuare qualcosa di nuovo, tale che si discosti dalle classificazioni usuali e sia capace di dare vita a una scena musicale specifica.
Per quanto questo metodo, nella sua ansia determinativa, non colga le peculiarità di ogni singolo atto compositivo, di ogni singolo album, di ogni singolo artista, non si può negare che si tratta di un utile strumento orientativo, in grado di rilevare ciò che è comune all’interno di un campo di differenze.
Appunto per questo motivo, parlando di chillwave – “movimento” musicale nato negli ultimi anni del precedente decennio ad opera di producer e band statunitensi –, sono consapevole delle approssimazioni a cui si va incontro quando si discorre di generi.


Chillwave (o glo-fi) si caratterizza per l’utilizzo massiccio di sintetizzatori ed effetti elettronici, combinato con voci distorte e melodie semplici, il tutto registrato solitamente a un numero basso di BPM e in lo-fi, ossia in bassa fedeltà – ne viene fuori un suono “sporco”, che evoca spesso atmosfere malinconiche e sognanti, più da ascolto che da dancefloor.
Neon Indian, Washed Out, Memory Tapes, Toro y Moy, Small Black, MillionYoung sono solo alcuni dei nomi – i più noti – che contraddistinguono la scena chillwave.



Solitamente vi si nascondono progetti solisti di producer cresciuti a rock psichedelico, suoni anni’80 e videogame - dietro Washed Out c’è Ernest Greene, dietro Memory Tapes Dayve Hawk, dietro Neon Indian, per quanto si esibisca come una band dal vivo, c’è la mente di Alan Palomo, e via dicendo - .
Seek Magic di Memory Tapes, Psychic Chasms di Neon Indian, Life of Leisure di Washed Out sono album entrati di diritto perlomeno nella storia musicale dell’ultimo decennio; del resto, basta fruire di track come You and I, Deadbeat Summer, Stop Talking (per dire solo alcuni dei più noti) per rendersi conto che ci si trova dinanzi a qualcosa d’interessante, che rivisita l’eredità degli anni’80 alla luce delle sonorità elettroniche più recenti, immergendo il tutto – come già accennato prima – in un’atmosfera malinconica e nostalgica e allo stesso tempo catartica e purificante.
D’indie rock c’è quindi – checché ne dicano alcuni critici – ben poco nei brani chillwave. Molto più evidenti sono le influenze sperimentali di Tangerine Dream, quelle anni ’80 di New Order e Talking Heads, quelle più recenti di Cut Copy, Ladytron, m83; altrettanto chiare sono le affinità con gruppi come Zola Jesus, Former Ghosts, Xiu Xiu da una parte, Chromatics e Glass Candy dall’altra (nel senso che questi progetti, pur differenziandosi nella scelta del percorso musicale, hanno in comune alcuni presupposti di base, come, per esempio, il campo d’influenza).
Il merito principale della scena chillwave è quello di ricordarci che la musica elettronica è un genere talmente vasto e ricco di sperimentazioni e innovazioni che, in un periodo così buio come quello attuale in cui a trascinare le platee dei maggiori club mondiali è la shit noise del genere fidget, c’è pure la possibilità di ascoltare (in alcuni casi anche ballare) qualcosa di più intenso e meno “rumoroso”, di abbandonarsi a suoni densi ed evocativi piuttosto che scatenarsi al ritmo di musica da giostre.


  

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