Nan Goldin: la fotografia come memoria

Nan Goldin. Berlin work. Fotografien 1984 bis 2009 è il nome dell’esposizione che, iniziata a novembre, sarà ospitata fino a marzo 2011 da uno dei maggiori musei della capitale tedesca per quanto riguarda la fotografia e l’arte contemporanea, ossia la Berlinische Galerie.
La vita, le persone e i luoghi cari all’artista americana vengono raccontati attraverso 72 immagini; molte, chiaramente, le fotografie che si riferiscono al soggiorno berlinese, durato dal 1991 al 1994.

L’opera di Nan Goldin può essere interpretata in due modi – che tra l’altro non si escludono a vicenda – : da una parte la si può intendere come una narrazione dell’esplosione di determinate sottoculture, del proliferare della sessualità, di vite estreme, party e droga, della mortale entrata in scena dell’AIDS. In fondo la stessa autrice ha sempre ribadito come la sua  sia un’arte “politica”, ossia un’arte che polemizza e mira a decostruire la categorizzazione sociale della sessualità.
D’altra parte questo tipo di racconto è, in realtà, fortemente individuale, sia nel senso che si avverte il ruolo preponderante giocato dal vissuto di Nan Goldin sia nel senso che è molto importante l’individualità delle persone e dei luoghi ritratti.

La fotografia è in primo luogo per l’artista di Washington diario e ricordo; non a caso ha affermato di aver avuto sempre “la sensazione di non poter perdere nessuno, fotografandolo abbastanza spesso”. La fotocamera diventa mezzo prediletto per rendere intangibile ciò che è davvero importante. Si tratta, in un certo senso, anche di una battaglia contro il tempo e contro la morte, sebbene le continue dipartite di amici a causa dell’AIDS abbiano frustrato quest’intenzione. Come ha giustamente notato Joachim Sartorius, amico di Nan Goldin, la sua opera è “un grande tentativo che riguarda l’ossessione e la memoria, il genere e il sesso, la meravigliosa molteplicità delle relazioni umane. È in fondo, con mezzi fotografici, una gigantesca «alla ricerca del tempo perduto»”.

Joachim Sartorius at Bel Ami, Berlin 1991
© Nan Goldin / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York

Particolarmente significativa, al fine di una corretta valutazione della poetica della fotografa americana, è l’istantanea Bloody Bedroom.

Bloody bedroom in a squattered house Berlin, Berlin 1984
© Nan Goldin / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York

L’immagine immortala una stanza in disordine, le cui pareti sono macchiate di sangue; ma ciò che è davvero rilevante è la scritta posta in alto a destra. Essa può essere così tradotta dal tedesco: “l’amore si rovescia infinitamente in infinito dolore. Nel frattempo noi viviamo”. Il famoso motto di Schopenhauer, secondo cui la vita è un pendolo che oscilla tra noia e dolore, viene rivisitato da Nan Goldin, secondo cui l’oscillazione è piuttosto tra amore e dolore. Il pessimismo del filosofo tedesco diventa nichilismo attivo nell’artista americana.

Del resto è la stessa biografia di Nan Goldin che conferma quest’impressione: il suo percorso di maturazione è segnato da esperienze limite e borderline, sia che esse acquisiscano le sembianze dionisiache dei party newyorchesi e di una sessualità libera, sia che prendano l’aspetto più sinistro dell’autodistruzione (Nan Goldin è riuscita con molta fatica e dopo molti anni a emanciparsi dalla dipendenza da droghe) e della presenza costante della morte.
Basta osservare Nan one month after being battered per rendersi conto di cosa intenda la fotografa con la sua poetica della vita e del rapporto dialettico tra amore e dolore. Il volto tumefatto è quello di Nan, un mese dopo essere stata picchiata dall’uomo con cui aveva trascorso gli ultimi anni: un sentimento malato – come lei stessa lo ha definito nel documentario I’ll be your mirror –, che si alimentava attraverso la dipendenza dalle droghe.

Nan one month after being battered, 1984
© Nan Goldin / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York

Se nel frattempo in cui viviamo – riprendendo la frase di Bloody Bedroom – la fotografia, secondo l’ottica di Nan Goldin, riesce a fungere da unico strumento in grado di depotenziare la forza distruttiva di quel “nel frattempo”, in grado di sospendere l’ineluttabilità del fluire esperienziale, diventa allora ancora più evidente come i suoi scatti abbiano il proprio campo semantico all’interno di un circolo che tiene insieme amore e dolore, individualità e relazionalità, sesso e ossessione, tempo e ricordo.    

Amanda in the mirror, Berlin 1992
© Nan Goldin / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York

Amanda on my fortuny, Berlin 1993
© Nan Goldin / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York

Bea with the blue drink, O-Bar, West Berlin 1984
© Nan Goldin / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York

Kathe in the tub, West Berlin 1984
© Nan Goldin / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York

Siobhan with a cigarette, Berlin 1994
© Nan Goldin / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York

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